Le affermazioni sarcastiche rivolte nel corso di una diretta TV dalla schermitrice italiana Elisa Di Francisca alla giovane nuotatrice Benedetta Pilato – arrivata quarta nei 100 Rana alle Olimpiadi di Parigi 2024 – hanno sollevato un polverone dal quale sembra difficile uscire. Da un lato una lunga carriera vissuta, come sempre dichiarato sotto e senza la maschera, fatta di ambizione e determinazione verso il raggiungimento di quel massimo risultato identificato nell’oro; dall’altra una giovane nuotatrice che nel suo palmarès vanta già un oro mondiale e quattro ori europei, inserita in un mondo di competizione elevatissima che cerca di dare il meglio di sé e ottiene il suo miglior risultato.
Il dibattito ha portato a critiche infinite nei confronti della prima, definita “bulla” nei confronti della Pilato. Ma andando un po’ oltre la superficie e i toni sgradevoli delle dichiarazioni, la scissione delle posizioni tra gli osservatori è avvenuta soprattutto tra coloro che sostengono l’opinione della schermitrice, ritenendo che gli atleti dovrebbero sempre puntare alla vittoria senza accontentarsi, e quanti invece difendono Benedetta Pilato, apprezzando il suo approccio positivo e il riconoscimento del valore delle proprie prestazioni indipendentemente dal risultato finale.
Senza voler entrare nelle polemiche molto “agostane” sul tema, a me pare che questa vicenda evidenzi le diverse prospettive sulla competizione e sugli obiettivi nello sport, e rappresenti un’opportunità di riflessione su cosa significhi davvero avere una mentalità vincente.
Nel contesto sportivo professionale, la spinta a migliorarsi continuamente, a superare i propri limiti e raggiungere traguardi sempre più ambiziosi, è fondamentale. Puntare all’oro richiede una disciplina rigorosa e una dedizione totale, che possono tradursi non solo nel successo nello sport ma anche in altri ambiti della propria vita. Il rischio è, però, che l’enfasi costante sulla vittoria possa creare uno stress significativo e una pressione tale da avere conseguenze estremamente negative per la salute mentale e fisica degli atleti. A mio parere il rischio peggiore è quello di perdere la gioia dello sport. Quando l’unico obiettivo diventa vincere, c’è il pericolo che gli atleti perdano la passione autentica, quella che li ha spinti a rendere quello sport la loro vita, che li spinge tutti i giorni ad alzarsi la mattina e combattere per ciò che amano davvero.
La passione per uno sport è spesso ciò che porta gli atleti a iniziare un viaggio complesso e ricco di sacrifici. È la gioia del gioco, il desiderio di migliorarsi e la possibilità di far parte di una comunità che spinge molti a dedicare tempo ed energia allo sport. Infatti grazie alle partecipazioni sportive si costruiscono legami con altri atleti, che comprendono le tue fatiche, allenatori e tifosi. Attraverso tutte queste sfide e le vittorie personali che possono arrivare, gli atleti crescono non solo come sportivi ma anche come individui.
Il problema non sta nel puntare sempre al massimo e neanche nel rimanere delusi di fronte alle sconfitte. Ciò su cui bisogna concentrarsi è che risultati eccezionali hanno bisogno di obiettivi intermedi da raggiungere, commisurati all’età e all’esperienza.
In una mentalità realmente vincente si celebrano anche i piccoli progressi, gli sforzi e le piccole vittorie, perché solo grazie a questi si mantiene viva la passione per lo sport che porta al punto più alto del podio.
In quest’ottica, Di Francisca proviene sicuramente da un contesto in cui la mentalità prevalente e dominante è che solo la vittoria determina il tuo essere un’atleta valida. Ma, come ha detto la campionessa Federica Pellegrini, «le medaglie pesano e ci sarà sempre tempo per vincere». Benedetta Pilato diventa così specchio di un approccio sano allo sport, quello che porta una giovane ragazza di diciannove anni a piangere di gioia per aver partecipato alle Olimpiadi assieme ai migliori del mondo, a dare il meglio di sé e a ottenerlo.