Psiche

Solo un’utopia ci può salvare dalla paura liquida che ci assale

Ansia e insicurezza del presente non si combattono chiudendosi in difesa. Papa Francesco è il solo a dare parole di speranza

Nella nostra società “liquida”, come la definisce Zygmunt Bauman, cioè una società magmatica, che ha perso le antiche certezze e i consueti punti di riferimento, non può che insinuarsi una paura altrettanto “liquida”, pervasiva, inquietante, fatta di oscure minacce.
Le sue radici sono l’ansia, l’insicurezza del presente e l’incertezza del futuro.
A determinare questa situazione concorrono catastrofi naturali, crisi economica, flussi migratori, terrorismo.

In un mondo che crediamo messo in sicurezza da una scienza sempre più avanzata, l’irrompere improvviso delle forze della natura ridimensiona la nostra onnipotenza tecnologica e ci fa ritornare a terrori primitivi di fronte alla furia distruttiva di uragani e terremoti (e noi italiani ne sappiamo ben qualcosa).

La crisi economica morde e disgrega il tessuto sociale, alimentando rabbia antisistema, ma anche rassegnazione.
Le vicende del terrorismo si intrecciano con quelle dei flussi migratori. Il suo più grande successo è di aver seminato ansia e sospetto, in questo aiutato anche dall’enfasi mediatica data alle sue imprese, e di insidiare le nostre abitudini di vita.
Le migrazioni di massa hanno contribuito a diffondere la sindrome della fortezza assediata, a far sentire noi, fortunati abitatori della parte ricca e felice della terra, minacciati da nuovi barbari che bussano alle porte per chiederci di condividere quella protezione e quel benessere dei quali noi godiamo e dai quali loro sono esclusi. E intanto si insinua il sospetto che tra questi barbari dai tratti esotici potrebbero nascondersi anche coloro che non si accontentano di reclamare la loro parte, ma che la nostra società occidentale la vogliono distruggere.

Quando si guarda con apprensione un volto dai tratti diversi, quando si notano con inquietudine
zainetti e pacchi, si può dire che il terrorismo ha raggiunto i suoi scopi. Per la nostra tranquillità stiamo già sacrificando la privacy, accettando di buon grado controlli e telecamere, disposti forse, se ci verrà richiesto, a sottoporci anche alla sorveglianza occhiuta di un Grande Fratello. Questo può placare l’ansia? Non credo.
Se ogni oggetto, coltello, ascia, camion, auto, può diventare un’arma impropria di distruzione, il rischio non è calcolabile, è anch’esso “liquido”.

La percezione di un pericolo che incombe con molteplici aspetti minacciosi spinge le società a chiudersi a difesa. Una difesa non solo egoistica, ma anche poco lungimirante.

Dove è finita la società aperta di cui parlava Karl Popper negli anni del dopoguerra? La società che realizza una convivenza umana basata su libertà, tolleranza, non violenza, protezione delle minoranze, circolazione e confronto critico delle idee?
La globalizzazione avrebbe potuto rappresentare lo sviluppo su larga scala di tale società, oggi vediamo invece come, proprio nel mondo globalizzato dal punto di vista economico-finanziario e consumistico, sia forte la tentazione di chiusura in patrie sempre più piccole, non solo nazioni, ma porzioni di Stati, territori regionali.

Per contrastare questa deriva sarebbero necessarie iniezioni di fiducia e soprattutto di utopia, che purtroppo la stanca politica dell’Occidente non è attualmente in grado di dare.
La sfiducia nelle istituzioni, l’indebolirsi del senso di appartenenza a una comunità favoriscono il ripiegamento individualista nel privato e l’arroccarsi in difesa dei resti dei propri privilegi.

Questo disagio diffuso, il senso di impotenza e il bisogno di rassicurazione spiegano forse il successo di papa Francesco, l’unica figura pubblica veramente carismatica, capace di capire il bisogno di certezze e di dare le attese parole di speranza, di porsi come solido punto di riferimento, roccia salda che resiste alla liquidità.

Psicologa. Collaboratrice della fondazione Lighea. Dal 1980 si occupa di terapia e riabilitazione di pazienti psichiatrici.

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