Una foto in bianco e nero che ritrae le silhouette nere di una donna e un uomo, entrambi di profilo, che si danno le spalle davanti a una veneziana chiusa da cui entra poca luce.
Relazioni

Relazioni, impariamo a coltivare la mente che non sa

Comprendersi significa conoscersi? Fino a che punto? La profonda conoscenza dell’altro può a volte portare con sé la perdita dell’ascolto e della comprensione. Ecco che, forse, «restare sulla soglia» può essere d’aiuto.

«Non ci capiamo più!». Quante volte abbiamo sentito dire questa frase o l’abbiamo pronunciata noi stessi. Quanta sofferenza nel vedere che l’altro, magari amico di sempre o compagno di una vita (o a volte anche il professionista della relazione d’aiuto), non ci comprende più.

Ma cosa vuol dire comprendere? Curioso paradosso: le persone più si conoscono e più rischiano di non riuscire più ad ascoltarsi, a comprendersi. Eppure, si direbbe, quando una persona la frequenti da anni, quando ci si conosce da una vita…

L’esistenza umana spesso si presenta proprio come il luogo del paradosso: mi capita di frequente di ascoltare persone che arrivano da me dicendo di essere sprofondate in una profonda crisi da quando non riescono più a sentirsi comprese dal proprio partner, da quando non si sentono più ascoltate, non sentono più l’attenzione dell’altro.

Strano a dirsi, perché più ci si conosce e più la possibilità di non comprendersi sembrerebbe minima, eppure…

Molti si sentono ingabbiati in una relazione in cui sembra essere bloccata la possibilità di essere ascoltati dall’altro, di avere quello spazio che prima, quando ci si conosceva forse di meno, c’era: quell’ascolto aperto, senza giudizio, interamente orientato verso di noi.

Ora basta un sopracciglio, un respiro, un singulto, che l’altro sa già chi è l’assassino, va già al finale di partita.

La mente allora mi va ad alcuni libri che ultimamente sto leggendo e, chiedendo venia per il sicuro strabismo che emerge tutte le volte che ho un amore nuovo a cui dedicarmi, sento potente, convincente e seducente allo stesso tempo un passaggio del testo I cinque inviti di Frank Ostaseski. Il quinto invito dello zen dice: coltiva la mente che non sa.

Strana cosa la mente che non sa; ci si può chiedere che cosa voglia dire, in cosa consista. Coltivare la mente che non sa ci invita a rimanere sulla soglia nell’incontro con l’altro, rinunciando alla tentazione di volerlo a tutti i costi portare dentro di noi, mangiarlo, assimilarlo, inghiottirlo. Certo, la tentazione colonizzatrice nell’ascolto dell’Altro-da-noi è sempre in agguato; dapprima ascoltiamo, poi cerchiamo similitudini, assonanze, rime… Poi modellizziamo l’ascolto ed eccolo lì, un perfetto Avatar che rappresenta il “per-noi” dell’alterità che abbiamo deciso di assimilare.

Da questo punto in poi, il nostro ascoltare si mette direttamente in connessione, si “linka” all’Avatar e non più alla persona reale fuori di noi. Questo modo di comprendere, però, rischia di essere falso: è più un assimilare, divorare, inglobare l’altro (o l’idea che di lui abbiamo costruito), per renderlo più controllabile e dunque mitigare la nostra indomita inquietudine.

Coltivare la mente che non sa, invece, ci può dare proprio la direzione appropriata dell’ascolto e del comprendere, che consiste nello stare esposti continuamente all’alterità, nel rimanere aperti totalmente all’altro. D’altra parte, se quando ascolto mi metto nella disposizione del «potrebbe accadere qualsiasi cosa», così e solo così l’Altro-da-me è completamente libero.

Direttore di comunità psichiatrica Lighea, psicologo, psico-oncologo, formatore, supervisore, filosofo,criminologo, docente a contratto Università Bicocca - Lecco - Facoltà Medicina e Chirurgia, docente Cofil - Università Ca' Foscari – Venezia, docente a contratto Fondazione Policlinico Irccs San Matteo - Pavia

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *