L’articolo “Amori di plastica”, a commento della mostra fotografica Surrogati: un amore ideale, mi ha suscitato associazioni di idee e suggerito alcune riflessioni.
La realtà che gli scatti fotografici documentano in forme estreme mi sembra richiamare una tendenza ben presente nella nostra società: la volontà di plastificare la natura la ritroviamo infatti nel ricorso, sempre più frequente, alla chirurgia estetica.
Non mi riferisco certo ai casi in cui la presenza di evidenti difetti fisici richiede un intervento migliorativo, ma all’uso, e all’abuso, che di tale pratica fanno donne belle, la cui natura non avrebbe alcun bisogno di correzioni. Il risultato, a mio parere, è in genere esteticamente peggiorativo, talvolta disastroso.
Certo, le rughe vengono spianate, ma in compenso i lineamenti si irrigidiscono, il viso perde di espressività, il corpo appare finto.
A ricorrere al chirurgo non sono solo signore che non si rassegnano a invecchiare, ma anche fanciulle in fiore che chiedono ai genitori interventi chirurgici come regalo per il compleanno, la laurea o l’esame di maturità. Tutte inseguono un modello estetico imposto dalle icone della moda o dei social: il risultato è il venir meno dei caratteri individuali a favore di una bellezza omologata.
L’umanità si ritrae da queste donne “rifatte”, che, nel corso di interventi progressivi, tendono a trasformarsi sempre più in bambole. Eppure esse pensano così di esaltare la propria femminilità, confortate in questo dall’apprezzamento maschile.
È forse la riduzione ad un’immagine di donna oggetto a muovere il desiderio dell’uomo? A dargli l’illusione del controllo?
Ciò che agisce nel profondo è forse la volontà di immobilizzare la vita, fermare il tempo, esorcizzare la morte?
Talvolta, però, si produce qualcosa di imprevisto.
Ricordo una mia paziente il cui cruccio era un seno troppo piccolo e insignificante. Se ne era fatta una malattia e alla fine si era rivolta al chirurgo, che gliene aveva modellato uno bellissimo. Esibendolo con compiacimento, la signora sentiva esaltata la sua femminilità, vedeva il desiderio negli occhi degli uomini, e anche in quelli del marito.
Tuttavia, in breve tempo, questo oggetto di attrazione sessuale divenne troppo ingombrante, causa di imbarazzo per il desiderio che suscitava. A torto o a ragione le sembrava che tutti gli sguardi si fermassero su di lui e che l’avvolgessero di un’onda sensuale di cui non riusciva a reggere l’emozione. Intanto, se la vita sessuale di coppia era stata rivitalizzata, il rapporto matrimoniale rischiava di venire destabilizzato.
La signora incominciò così ad avvolgersi in ampi scialli e larghe sciarpe e, non riuscendo a sostenere la tensione del desiderio, finì per tornare dal chirurgo per farsi smontare il magnifico seno artificiale e poter tornare al suo naturale, modesto, ma rassicurante organo anatomico.
La vicenda paradossale ci mette in guardia nei confronti di alcune operazioni di cui non valutiamo abbastanza le conseguenze psicologiche. Rifarsi il naso, le labbra o gli zigomi, il seno o i glutei non modifica solo il corpo, altera la percezione di sé e può rivelarsi destabilizzante.
Il caso della mia paziente mi sembra esemplare: la natura si è ribellata e si è presa la rivincita sull’artificio.
Un commento
Marco
Secondo me le donne rifatte sono bellissime, migliori di quelle naturali, le donne bambole invece sono il top del top