«Io sono il braccio e tu la mente», così sull’uscio dello studio io, psicologo di mestiere e filosofo per passione, a lei Giuliana Torre, psichiatra e psicanalista. Una con la mente fina, per me esempio di lucidità e di quella ragione che, spesso, mi fa paura per quel suo sconfinare nelle regioni più remote dell’anima, dove occorre mettersi le pietre in tasca per timore di volare via o di perdere l’equilibrio.
Nella riunione di redazione si parla della terribile storia accaduta a Parma: sembra (in assenza di verità giudiziarie il dubbio va lasciato) che una ragazza abbia ucciso prima e sotterrato dopo i suoi due figli appena nati. Sconvolto, colto da quella afasia che spesso mi assale quando non riesco a trovare un appiglio che mi consenta di aggrapparmi, chiedo alla mia amica cosa ne pensi e in che modo si possa arrivare a commettere una particolare e raccapricciante cosa del genere.
Cosa può accadere nella mente di una persona per arrivare a fare ciò? Come possiamo cercare di accostarci a un fatto di questa natura senza giudicare, senza cedere a quella parte di noi che vuole solo condannare e punire?
Non si scompone la mia amica, resiste all’impeto della condanna, allo stesso tempo però non si rifugia nelle verità scientifiche che potrebbero freddamente spiegare le cose. Con una passione che non si lascia travolgere, con una ragione che non si rifugia nel gelo della ratio, sostiene che diventare genitore è una questione di mentalizzazione, ovvero di creare uno spazio interno, uno spazio mentale, che sia in grado di accogliere la nuova vita.
In fondo, dunque, per far nascere davvero occorre partorire due volte: una come prodotto del corpo, come vita che si stacca dall’utero per divenire autonoma, ma una seconda volta occorre far nascere il figlio nella mente, ovvero creare uno spazio mentale nel quale possa venire ospitato il nascituro.
Una doppia nascita, dunque, nel corpo e nella mente; senza quest’ultima, senza lo spazio di mentalizzazione, rimane solo un corpo che si stacca da un altro corpo, un corpo che non avendo uno spazio mentale diviene corpo estraneo del quale liberarsi. Senza lo spazio mentale, il miracolo della vita, la più grande benedizione di Dio, diviene minaccia, ostacolo, financo maledizione, cisti, tumore da rimuovere e far sparire.
Ecco che allora, come spesso mi capita, diviene comprensibile un atto così inaudito ed impensabile. In fondo, anche a noi “del mestiere” tocca cercare di attivare spazi mentali per cercare di ospitare l’inospitabile, di pensare l’impensabile. Non già per giustificare o perdonare ma per poter essere utili, per prestare servizio.