Se l’ovvio è invisibile agli occhi: riprendo e faccio mio il titolo, particolarmente appropriato, dell’articolo di un collega che, in un’altra occasione, ha citato un episodio alquanto significativo. Un paziente delle nostre comunità non si dava pace per la sparizione della sua automobile dal luogo dove era parcheggiata, e pretendeva che terapeuti ed educatori si dedicassero alla ricerca. Le sue richieste ossessive sollevarono una serie di interrogativi che coinvolsero e appassionarono tutta l’équipe: quale il significato profondo della vettura per il paziente? Quali gli aspetti simbolici? Quale l’investimento emotivo? Ne era seguito un ampio dibattito con acute e raffinate interpretazioni.
Tempo dopo, però, era arrivata notifica di una multa salatissima: l’auto era stata rimossa e giaceva dimenticata in un deposito. Nessuno si era curato di verificare dove fosse finita. Eleganti analisi teoriche avevano completamente distratto da quella che appare come l’azione più semplice e logica.
Il racconto mi ha ricordato una vicenda analoga. Una paziente, che viveva in alloggio proprio con assistenza domiciliare, telefonò eccitata gridando: «Fuori dalle mie finestre c’è un sottomarino!». Si scatenò immediatamente un acceso dibattito sulle esperienze allucinatorie, nell’ambito del quale tutti noi dell’équipe curante ci esibimmo in dotti tentativi di interpretazione. In seguito, si seppe che la signorina aveva effettivamente vissuto la straordinaria esperienza di vedere sfilare lungo la sua via il sottomarino Toti, diretto al Museo della Scienza e della Tecnica.
Al di là degli aneddoti, sembra di notare un diffuso sospetto nei confronti dell’agire intuitivo e spontaneo, potremmo parlare di un rifiuto del “buon senso”. Si preferisce, per ogni cosa, una spiegazione complessa e articolata, come unica degna di fede, meglio se sostenuta dall’autorevolezza di una precettistica.
Fa parte di questa tendenza anche l’ansia definitoria che spinge a ricercare una diagnosi per qualsiasi comportamento che sembri deviare da un’ipotetica norma. Come se solo spiegazioni che possiedano l’autorità della scienza possano placare l’inquietudine con la tranquillità delle certezze.
Il nuovo vangelo di questa nostra epoca è Internet, straordinario ansiolitico, che ha una risposta pronta per qualsiasi quesito.
Alla ricerca di un’oggettività scientifica che abbia il crisma della “verità”, aspiriamo ad affidarci all’algoritmo, dimenticando che, purtroppo o fortunatamente, per quanto riguarda il mondo delle emozioni non esiste la sicurezza del prontuario di istruzioni.
A chi mi interpella per avere soluzioni codificate scientificamente mi piace dare risposte paradossali e spiazzanti, che spesso sortiscono effetti inaspettati perché stimolano la riflessione personale, la ricerca di una propria verità al di fuori di schemi precostituiti. Non il percorso lineare, ma la imprevedibile mossa del cavallo può spingerci a considerare la realtà da nuovi punti di vista o rende immediatamente percepibile ciò che complicazioni intellettualistiche nascondono.
Al telefono:
«Dottore, dottore, il paziente, appena l’ha vista, si è gettato sulla nonna, aggredendola. Che significato può avere una simile reazione? Quale pulsione inconscia lo spinge? Come interpretare la contraddizione tra l’amore che afferma di avere e il comportamento? E io, cosa è meglio che faccia?»
«Del significato discuteremo in sede opportuna. Adesso LI DIVIDAAA»