Il nome Lighea viene da un racconto di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. È il nome di una sirena. Sasà, un vecchio professore, la incontra una mattina d’agosto nel mare siciliano cantato da Omero. Con lei vive tre settimane di passione assoluta, finché la vede scomparire tra i flutti. Non la rivedrà mai più e mai più potrà liberarsi di lei.
Così parla la sirena: «Sono tutto perché sono soltanto corrente di vita priva di accidenti. Sono immortale perché tutte le morti confluiscono in me, da quella del merluzzo a quella di Zeus, e in me radunate ridiventano vita, non più individuale e determinata, ma panica e libera». Con lei Sasà sperimenta la vertigine dell’abbandono totale, della perdita di sé. La follia è qualcosa di simile: incantesimo maligno, delirante sogno di assoluto, attrazione per il vuoto. L’unica speranza di sfuggire a questa seducente minaccia di morte consiste nella capacità di accogliere la propria follia e di imparare a conviverci, come si fa con i sogni.
LA NASCITA DELLA FONDAZIONE
La prima volta fu nel 1984, in un condominio dalle parti di Lorenteggio, a Milano. E la prima telefonata fu della signora del terzo piano: «Qui al piano di sotto, o forse al primo piano, si sente una donna che di notte piange in continuazione…» Poi fu la volta di una mamma che abitava al quarto: «La mia bambina dice che ha visto una strega, sulle scale del primo piano». Poi un altro inquilino denunciò che da quell’appartamento al primo piano uscivano strani odori. Insomma alla fine l’amministratore dovette indire nella vicina parrocchia una riunione straordinaria. Fui convocato come direttore scientifico della comunità terapeutica Lighea che aveva sistemato nell’appartamento sei pazienti, con assistenza continuata nell’arco delle 24 ore. Nel corso di quel tumultuoso incontro cercai di spiegare la filosofia che ci aveva ispirato e tuttora ci ispira: che le persone affette da disturbi psichici vadano curate e assistite in contesti che ne promuovano il reinserimento e l’integrazione nella società: in netta antitesi rispetto alla cultura manicomiale che ha sempre isolato i matti, li ha nascosti perché non turbassero con la loro presenza il mondo dei “sani”, Lighea porta i suoi pazienti ad abitare e a vivere all’interno del tessuto sociale, accanto ai cittadini, ai lavoratori, alle famiglie che in tale tessuto operano… Mi lasciarono parlare ben poco. La discussione degenerò quando un nostro giovane ospite, affetto da un disturbo psicomotorio che lo spingeva ad agitare in continuazione con la mano un mazzo di chiavi, venne accusato da un’occhiuta vicina di masturbarsi scandalosamente davanti alla finestra aperta. Alla fine dovetti salvarmi con la fuga da un’aggressione che rischiava di sfociare in un vero e proprio linciaggio.
La comunità venne trasferita. Questa volta in un palazzo d’epoca in zona residenziale Magenta, un condominio abitato da famiglie di buona borghesia e da uffici prestigiosi. Siamo ancora lì, dopo oltre trent’anni…
I quartieri alti sono forse più tolleranti? Una solida formazione culturale unita a un elevato livello socioeconomico predispone certamente a una maggiore apertura nei confronti del diverso, ma forse c’è anche un’altra spiegazione: in ogni famiglia “bene” che si rispetti non è raro trovare personaggi quanto meno “bizzarri”.
Nel 1987 viene aperta una seconda comunità terapeutica Lighea, dapprima sul lago di Como, presto trasferita a Milano all’ultimo piano di una residenza signorile in zona Tribunale, un edificio occupato prevalentemente da studi legali e abitazioni di importanti avvocati.
Dopo soli tre mesi, nonostante le ingenti spese di ristrutturazione sostenute per adeguare l’appartamento alle esigenze della ASL, Lighea riceve ingiunzione di sfratto dal proprietario dei locali a causa delle continue lamentele dei condomini. Il presidente della Fondazione, che sono sempre io, dopo molte insistenze riesce a incontrare il gruppo dei più accaniti contestatori, tutti illustri penalisti. Segue un confronto molto teso: i convenuti si lamentano dei rumori e delle grida, temono che gli ospiti della comunità, alcuni dei quali particolarmente pittoreschi, spaventino i loro clienti, si preoccupano per la propria immagine professionale,
Urlano che i loro figli hanno paura, perché lassù – dicono – abita la strega.
A un certo punto uno dei presenti più esagitati proclama con enfasi avvocatizia: «Insomma, dottore, i suoi clienti disturbano i nostri clienti!» Mi viene una felice intuizione: chi sono mai questi rispettabili clienti turbati dai miei pericolosi malviventi? Mi metto a urlare anch’io: «La differenza è che i vostri clienti sono assassini, puttane, ladri, stupratori, mafiosi… I miei solo poveri depressi o persone comunque sofferenti».
La battuta, che non è poi così comica, suscita una risata liberatoria che pone fine alle ostilità.
(Recentemente Lighea 2 si è trasferita in via Santa Marta, zona Duomo, in spazi più ampi nei quali trova posto anche il Centro Diurno).
Nel 1998 nasce Lighea 3, situata in una villetta adiacente a piazzale Loreto. In questo caso solo qualche blanda lamentela dei vicini per l’uso troppo rumoroso del giardino, ma nessuna seria contestazione. Che ci sia stata una maturazione culturale nei confronti del disagio psichico?
Nel 2014 lo stato dell’edificio, bisognoso di costosi lavori di ristrutturazione, determina il trasferimento della comunità in un elegante palazzo in zona City Life, un quartiere in fase di grande sviluppo edilizio.
Dopo pochi mesi i condomini e gli inquilini della casa di fronte presentano una petizione per l’allontanamento degli ospiti: circolano personaggi inquietanti, si odono rumori sospetti, si verificano atti vandalici negli spazi comuni, le nonne hanno paura di uscire e di nuovo, come nell’84, i bambini hanno incontrato la strega sulle scale.
Per sfatare le leggende gli operatori Lighea decidono di approfittare del periodo natalizio e di invitare i condomini a una grande festa comune. Distribuiscono gli inviti, preparano un ricco buffet, tengono aperta la porta. Nessuno si presenta. E da allora silenzio, nessuno più ci contesta. Forse la caccia alle streghe è chiusa. La porta di questo spazio su Internet, di questa nuova testata, o se preferite di questa nostra “casa dei matti” è sempre aperta. A tutti.
Un commento
dante
Gentilissimi
In tema di “diversità” e con il conforto dell’autrice Dacia Maraini, questa produzione indipendente proporne uno spettacolo dal vivo presso la Vs struttura teatrale:
STRAVAGANZA di Dacia Maraini
A quarant’anni dalla Legge Basaglia
Un tema ancora recente – l’abolizione delle strutture manicomiali e le ricadute sociali.
Pietà e poesia sono state la visione per questo lavoro.
Link promo: https://www.youtube.com/watch?v=8bRE-JAqJd8
Messa in scena di Quarta Parete
Regia di Angela Penna
Ambientazione anni ‘70
Brani di violoncello dal vivo
Durata 100 minuti
Atto unico
Riservato ad un pubblico adulto
Associazione no profit: compensi a titolo di rimborso spese
Posizione ENPALS assolta
Posizioni assicurative RC assolte
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Quarta Parete
Officine Creative Barasso (VA)
quartapareteteatro@libero.it
338.9142017
Dante Melito