Una sera, in casa di amici, mi è capitato di fare la conoscenza di un distinto cinquantenne che esercita un’attività curiosa. Ha investito tutto il suo patrimonio nell’acquisto di due Ferrari e una Lamborghini che affitta per giornate intere o solo per alcune ore, addirittura per frazioni di ora. I clienti non mancano e gli permettono una vita agiata.
Matrimoni a parte, cosa mai può spingere tante persone a sborsare cifre ingenti per un breve affitto? L’emozione di guidare una Rossa? L’ebrezza della velocità? O piuttosto la soddisfazione narcisistica di apparire ricchi e potenti? In particolare, chi può permettersi solo un’ora, o anche meno, cosa intende fare di quel tempo? Una comparsata trionfale in qualche luogo di ritrovo frequentato, dove poter essere oggetto di ammirazione, interesse, invidia? Per qualche istante indossare un’altra identità, o forse trovarla?
Quella serata e quell’incontro mi hanno suggerito l’idea di chiedere un finanziamento per una start-up e aprire un negozio per coloro che, in tempi in cui assistiamo alla evaporazione dell’identità, sentono il bisogno di definirsi, di trovare il proprio Io.
In una società in cui l’immagine è tutto e i social ne sono l’amplificazione, un negozio capace di regalare identità… non sempre solo usa e getta.
Ispirato da Catherine Deneuve, ho deciso di chiamarlo: Je suis. Offrirebbe tutto l’occorrente a chi, incerto del proprio Ego, è in cerca di un Alter Ego. Divise di ogni tipo, in ogni tempo apprezzate: completi da rock star, diva hollywoodiana, dark, punk, calciatore, astronauta, supereroe in tutte le possibili declinazioni, torero, ballerina di tango, lord inglese, artista bohémien… Grande l’attenzione alle calzature (Moretti insegna) per la forte valenza erotica con venature feticistiche, e agli accessori: Rolex, borse Tod’s, valige Louis Vuitton, gioielli Cartier, profumi Chanel… Inoltre, abbigliamento identificativo di personaggi famosi per un’operazione di maquillage che produca sosia perfetti (quanti i cloni di Elvis Presley?).
Molti, pur non conoscendo Pirandello, desiderano infatti dismettere la loro persona per diventare personaggi. Quando di uno, nessuno e centomila è rimasto solo nessuno, il vuoto ha bisogno di un contenitore che gli conferisca forma, e allora sì, intorno a un Io fragile è possibile che l’abito faccia il monaco, anche se forse sotto il vestito non c’è niente.
Certo, è un curioso paradosso che mentre la cultura psicanalitica e il suo linguaggio sono diventati sempre più popolari, cresca l’incertezza sulla propria identità. Ormai si va dallo psicoterapeuta per conoscersi, alla ricerca di una diagnosi che ci dica finalmente chi siamo.