Una illustrazione con tanti simboli diversi per i tanti orientamenti sessuali diversi che ci sono.
Attualità

Così è se mi pare

L’importanza di essere se stessi e di esprimersi liberamente è oggi in primo piano. Ma attenzione a non perdere il fine ultimo di questa battaglia di libertà

Come rispondereste se qualcuno vi dovesse chiedere: “Come ti definisci?” Io direi che sono Marta ma, per il resto, non saprei neppure da dove iniziare. Luigi Pirandello, nel 1917, risolveva tutto facendo dire alla mitica moglie del signor Ponza, personaggio della sua opera Così è se vi pare: “Io sono colei che volete io sia”.

Rispetto alla domanda iniziale, attualmente alcuni potrebbero partire dalle proprie passioni, altri dal loro lavoro. Ultimamente però la discussione maggiore gira attorno alla definizione partendo dalla propria identità sessuale. Vige negli ultimi anni la necessità di definirsi, di dire chi siamo e cosa ci differenzia dagli altri. A parer mio nasce da una chiusura mentale passata che, per non comprendere o accettare il diverso, ci aveva convinto in modo implicito, che la modalità migliore fosse di essere omologati. Tutti uguali almeno all’apparenza mentre ciascuno coltiva le sue più disparate attitudini nel privato.

Negli ultimi anni ha preso piede il trend contrario: l’importanza di essere se stessi ha scardinato tutte le convinzioni passate al fine di dare una voce a tutti quelli che prima erano rimasti in silenzio. Sono sorti dunque, per quanto riguarda la sessualità, sempre più gruppi di supporto che, solo con la nuova generazione, hanno portato a cominciare un percorso di accettazione e di cambiamento radicale della società stessa. Il problema della discriminazione non si è fermato, trovando sempre nuovi spazi oscuri dai quali uscire e modi per ferire, ma si è dovuto nascondere, esattamente come aveva obbligato le persone a fare, ed è stato obbligato ad attenuarsi. Nel momento in cui una persona, 30 anni fa, appartenente alla comunità LGBTQ+, veniva insultata o uccisa, ciò diventava occasione di scherno; nel momento in cui avviene adesso non ci sono più scuse al linciaggio mediatico e umano.

Le prime distinzioni fatte nascono dalla differenza tra identità sessuale e orientamento sessuale. Dove prima i criteri normativi erano chiusi e oggettivamente invalicabili in quanto distinzioni biologiche tra maschile e femminile, si è compreso che l’appartenenza a un genere non determina ciò verso cui quella persona specifica è attratta, che può essere anche lo stesso genere. Come ricordava il giornalista Aldo Cazzullo l’estate scorsa, un grande condottiero come Giulio Cesare, simbolo per tanti anni di vittoria e machismo, era bisessuale (“la regina di Bitinia” dantesca), assolutamente accettato e compreso in un contesto storico in cui gli eterosessuali erano quelli ritenuti “eccentrici”.

Anche il DSM-5, manuale diagnostico degli psicologi, ci viene in aiuto: nella sua ultima revisione, datata al 2013, specifica precisamente che quando si parla di “orientamento” non si sta parlando della non appartenenza o del non riconoscimento del proprio sesso biologico, ma al prediligere un altro sesso, eliminandolo del tutto da quella parentesi terribile della psicologia per la quale l’omosessualità veniva ritenuta una malattia.

Assai più complicato è il caso di quelle persone che si ritrovano a dover crescere in un corpo e seguendo dei dogmi sociali che assolutamente non sentono loro e che anzi negano loro la possibilità di essere chi realmente sono. Nel nostro mondo, dopo anni di vessazioni e di sofferenze fisiche senza eguali, si sta comprendendo la necessità di aiutare questi ragazzi e ragazze nell’arrivare, finalmente, alla possibilità di riconoscersi mentre si guardano allo specchio.

Questa maggiore libertà ha portato a una notevole varietà di definizioni di sé e del proprio essere, oltre che del proprio orientamento. L’altra faccia della medaglia è, però, una serie di difficoltà oggettive che nessuno sa bene come gestire: dalla discussione su quale bagno sia adatto alle persone transessuali (sia in procinto di avviare il cosiddetto percorso di transizione, sia prima) da un lato, ai casi di fobia dell’eterosessualità dall’altro (come in un bar del centro di Torino in cui i proprietari in cerca di nuovi camerieri hanno chiesto come requisito fondamentale durante i colloqui l’appartenenza alla comunità LGBTQ+).

In questa lotta continua di affermazione, ci si è persi il reale fine di questa battaglia: la possibilità di essere liberi di esprimersi, nel decoro e nel rispetto delle leggi che regolano il nostro quieto vivere e dell’altro, chiunque esso sia.

Una necessità così forte di farsi sentire e di definirsi con una qualunque etichetta che alla fine si arriva ad “A-DEFINIRSI”, nel senso proprio di quella “A” iniziale derivante dall’alfa privativa greca, che effettivamente ci priva di qualunque cosa e ci rende “genderless”, cioè con una “mancanza di genere”.

Alla fine, già Pirandello nel lontano 1917 aveva compreso che una singola realtà è impossibile da raggiungere perché la realtà viene percepita da ognuno in modo diverso, generando così tante realtà quante sono le persone che credono di possederla.

In effetti nessuno ha una risposta univoca a tutti questi quesiti. Forse, il concetto da cui dovremmo partire è che, nel rispetto che ci deve sempre guidare, ciascuno può e deve essere chi vuole, per arrivare a capire che, di fronte a un disegno, davanti alla porta di un bagno, l’unica cosa a cui dobbiamo riusciamo a pensare è che “ci laviamo le mani tutti allo stesso modo”.

Dunque, io sono Marta e sinceramente se dovessi definirmi non saprei come fare, perché sto ancora capendo chi sono ma soprattutto chi voglio essere, nella libertà di potermi affermare, a differenza della moglie del Singor Ponza, come “colei che io mi credo”.

Psicologa e futura psicoterapeuta, collabora per la Fondazione Lighea Onlus.

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