Una foto che ritrae, davanti a uno sfondo innevato con un boschetto di alberi spogli dalla corteccia chiara in fondo, un bambino in giacca imbottita azzurra da sci, con un bavero alto a coprirne il collo, un berrettone di lana beige sulla testa calato fin sopra gli occhi, che fa la linguaccia sorridendo verso l’obiettivo.
Psiche

Alla ricerca di me stesso, tra “voglio” e “devo”

Qual è la via giusta? Seguire il proprio volere o accettare i propri doveri? Se da un lato cerchiamo di ammorbidire la volontà (e le pretese) dei bambini, dall’altro proprio in età adulta pare sia quella volontà che va riscoperta. Ma le due strade, forse, vanno guardate con altri occhiali

22- Papà, voglio l’acqua!

– Figliolo, non si dice «Voglio l’acqua», si dice: «Posso avere dell’acqua?», oppure: «Desidererei avere un bicchiere d’acqua»!

Normali scene di vita quotidiana a pranzo con amici con un figlio di circa 8 anni. Un po’ perché non funziona, un po’ perché in fondo il mio mestiere – lo psicologo – pare lo sappiano fare in fondo un po’ tutti, evito normalmente di prendere posizioni su questi che Freud chiamerebbe elementi di Psicopatologia della vita quotidiana (per citare il suo celebre libro). Non mi nego però la facoltà di pensare, e allora penso: che bella la vita, quando i bambini sono piccoli noi adulti spegniamo quella volontà indomita che connette direttamente la persona al bisogno («Papà, voglio …»), quello che Schopenhauer chiamava Wille. Noi, i “grandi”, abbiamo paura di tutta quella centratura, quella sicurezza, e allora proponiamo una via indiretta, più manipolatoria, quella del chiedere in forma interrogativa se “posso”.

Quando poi i bambini diventano adulti e si trovano nello studio dello psicologo, diviene ancora più curiosa la situazione: «Dottore posso fare questo o quello?», «Dovrei fare questo o quello», e noi con rinnovata sicumera esortiamo la “vittima” dicendo: «Eh no, non “posso” o “devo”, conta solo il “voglio”!».  Una cosa curiosa, vero?

Nella prima parte della vita condizioniamo le persone e poi cerchiamo di liberarle, come quegli organismi autotrofi che producono loro il cibo del quale si nutrono.

Ricordo durante una formazione una persona che mi chiese se potesse andare in bagno e io le risposi di no, allora la persona si fermò e contestò, e io a spiegare che il “posso” di fatto sposta il potere sull’altro e dunque implica anche il rifiuto, soprattutto se il nostro interlocutore pratica l’irriverenza.

La partita del dovere è ancora più complessa, e rivela in fondo la vera natura di cui siamo fatti. Alla nostra latitudine, cattolici per tradizione ma calvinisti per cultura, mangiamo pane e dovere, poco pane e tanto dovere, fin dalle prime luci dell’alba. Ricordo quando ai tempi della scuola i miei genitori mi dicevano: «Hai fatto soltanto il tuo dovere»: ciò che faceva male era già solo la parola, che di fatto riduce ciò che siamo alla categoria del dovere. Io sono colui che deve, «Necesse est ergo sum», una riformulazione cartesiano-milanese, dunque, che nega la volontà e la nasconde dietro alla necessità.

Intendiamoci, il dovere è un passaggio necessario per ciascuno di noi, il dovere è la connessione con una dimensione di autorità alla quale si sente di avere la necessità di far riferimento. L’adolescenza è l’età che si scontra col “devo”, la ribellione al “devo” che poi lentamente porta dentro la necessità di fare, o meglio ancora di essere. L’età adulta, dunque, dovrebbe essere il dominio del “voglio”, poiché anche l’espressione del dovere non rimanda ad altri che non siamo noi e dunque potremmo definirla la volontà di dovere.

Se però riusciamo a rallentare, a concentrarci sul percorso e non sul punto di arrivo, la volontà come regista della vita adulta smaschera il “falso dovere”, ci consegna una vita della quale abbiamo piena responsabilità e sulla quale abbiamo piena libertà di manovra. Nella volontà il verbo si fa carne e ci indica una direzione in cui finalmente comprendiamo quanto potere in realtà abbiamo su di noi e quanto il mondo che ci circonda è in gran parte la proiezione di ciò che abbiamo dentro.

A conti fatti per sapere se sarà o non sarà una bella giornata, non è necessario guardare fuori dalla finestra.

Direttore di comunità psichiatrica Lighea, psicologo, psico-oncologo, formatore, supervisore, filosofo,criminologo, docente a contratto Università Bicocca - Lecco - Facoltà Medicina e Chirurgia, docente Cofil - Università Ca' Foscari – Venezia, docente a contratto Fondazione Policlinico Irccs San Matteo - Pavia

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